Multimedialità (colloquio)
Intervista a Silvio Franzini – a cura di Saveria Raimondi e Valeria Passaretta
La Performance multimediale:
1. Che cos’è una performance multimediale? La potremmo definire un evento, in senso strettamente etimologico, da e- evenire, cioè venire alla luce, in esistenza?
Nell’uso corrente l’espressione “multimediale” indica l’integrazione di media differenti anche per il tramite del computer e delle nuove tecnologie. Se vogliamo pensare alla “performance”come fatto artistico, potremmo dunque definirla quel particolare evento (parimenti al senso descritto) vissuto in modo concomitante da musicisti, artisti visivi, poeti ecc. In questo senso è anche possibile collegarci ad un significato particolare del termine greco poieo (creo, faccio venire in esistenza). Credo si possa pensarla, forse più correttamente, come un connubio di tutti questi elementi…
2. Da dove è partita la vostra ricerca ?
Inizialmente, con Antonio Grande (musicista elettronico), da una necessità comune, da un’esigenza di uscire dalle specificità delle arti, dai confini, dai vincoli stretti delle discipline stesse del fare artistico, dalle più svariate attività di pensiero. Successivamente anche coi Jazzisti. Ma tutto questo ha illustri antecedenti…
3. Quali sono i tratti e le caratteristiche che legano la vostra esperienza a quella degli artisti storici?
Esempio la “performance live” dei dadaisti, il teatro del Bauhaus che esplora i rapporti tra spazio, suono, luce. Il Black Mountain College che ha incorporato gli studi teatrali alle arti visive, la figura di Cage… Fluxus e così via fino alla “performance art” degli anni ’70 e oltre, che trasforma lo spazio scenico in una sorta di contenitore che accoglie la compresenza di stimoli percettivi eterogenei, deliberatamente non categorizzabili.
4. Attraverso la vostra esperienza da cosa invece vi distanziate, sempre rispetto agli artisti passati?
Difficile dire… Si potrebbe affermare che nella mia idea di performance non vi sono regole precostituite o precedenti linee-guida da cui distanziarsi. Si sa di certo che le distanze vanno prese da tutte quelle situazioni in cui si verificano semplici accostamenti di elementi sonori e visuali, per esempio colonne sonore preregistrate, corti cinematografici, automatismi visivi ecc … Il mio modo di concepire la performance è rigorosamente composizione, interpretazione, improvvisazione in tempo reale (seppur con alcune tracce comuni accordate preventivamente tra i componenti).
5. Cosa volete comunicare con le vostre performance?
Tranne la proposta di eventuali “temi” preventivamente accordati (e la situazione che li accoglie) non c’è nessuna intenzionalità nel voler comunicare alcunchè… Ciò che proponiamo artisticamente dovrebbe già di per sé essere per così dire comunicativo. Questo “s-confinamento”, si sa, pone sempre la questione della ricerca di un nuovo logos (di una nuova legittimazione estetica) che ricomprenda la possibilità di formulare nuovi percorsi e quindi nuove “leggi compositive“, anche se non universali ed univoche.
6. Si tratta di un linguaggio molto difficile per uno spettatore inesperto, come avete pensato di trasmettere ciò che volete esprimere con la vostra arte?
Non credo sia un linguaggio particolarmente difficile. E’ chiaro che, come per tutte le manifestazioni artistiche non propriamente consolidate e non universalmente accettate, si possa in generale aver qualche titubanza… ma direi che per poterne fruire non occorre che diporsi semplicemente nell’orizzonte dell’”aistesis” uditivo-visiva (anche se naturalmente tutto dipende da particolari conoscenze, esperienze, sensibilità, ecc.).
7. Le vostre performance si basano sull’incontro tra suono ed immagine. Tra i diversi stili musicali, la vostra scelta è ricaduta sul jazz. Perché proprio il jazz e non altri stili compositivi contemporanei? E tra le diverse tendenze e forme assunte dal jazz, quale si confà maggiormente alle vostre performance?
Non necessariamente la scelta ricade sul Jazz, mentre la musica elettronica in live è quasi sempre parte integrante molto importante… a volte anche abbinata al testo recitato o alla danza. Certamente l’elemento improvvisazione-composizione in tempo reale sembra il più consono ai nostri intenti performativi: normalmente la figura del jazzista il più possibile libero da vincoli di genere (specie se include la sperimentazione e altri tipi di musica), si mostra essere, anche scenicamente, molto adatta.